Gli anni di formazione di Cambellotti si svolgono dapprima nel laboratorio artigiano del padre, poi in una scuola per ragionieri, e infine, tra il 1893 e il 1897, nella scuola d’arte istituita presso il Museo Artistico Industriale, fondato dal Comune, nel 1872, allo scopo di raccogliere manufatti (vetri, ceramiche, sculture, stoffe dipinte, calchi in gesso, fotografie) dall’antichità al XVII secolo, e contemporaneamente fungere da scuola di formazione per artigiani specializzati. Cambellotti muove il suo fare arte da questa cultura romana.

L’unificazione italiana aveva creato le condizioni sociali ed economiche per una rivoluzione industriale e attuata con grande ritardo rispetto alle altre nazioni europee, innanzitutto all’Inghilterra.

Tra fine Ottocento e primi decenni del Novecento si comincia a dibattere sul ruolo dell’arte in ambito della rivoluzione industriale: ossia la riproducibilità dell’opera d’arte, della destinazione di opere e manufatti non più a una committenza definita e identificata, ma aperta alla fruizione generalizzata di un’utenza potenzialmente innumerevole. La tensione politica del primo novecento si coniugava con concetti importanti quali progresso, igiene all’interno delle abitazioni, miglioramento delle condizioni di vita, inurbamento della popolazione, che a Roma appariva drammatico, tra città e campagna. Su questa dicotomia fra civiltà urbana industrializzata e civiltà contadina chiusa in un’arretratezza coattiva e tuttavia caratterizzabile in simboli naturalistici e talvolta arcaicizzanti, Cambellotti gioca la sua prima sfida nella ricerca di un linguaggio unitario e pur differenziato, fortemente simbolico ed emblematico che svaria in segnali diversissimi entro contesti che vanno dall’elettrificazione delle società tramviarie alla desolazione dell’Agro pontino – romano, traendo ispirazione dai principi innovativi di Morris e Van de Velde e dal linguaggio delle Secessioni, mentre restava viva la lezione morale di Ruskin, Crane e delle Arts & Crafts dei maestri Morani, Gioia, De Carolis). Si discute e ci s’impegna a praticare la missione sociale dell’arte, con specificità e modernità tutta proiettata nel futuro di quel che intendeva Tolstoi: “Per ritrovare il perduto amore [. . .] delle forme forti e vigorose, delle costruzioni razionali, si deve andare a cercare là dove le ‘belle arti’ non hanno potuto penetrare, e precisamente là dove l’intento artistico  si applica tutto a cose utili e necessarie [. .. ] il senso dell’arte, almeno nella sua autentica essenza creatrice, non si potrà più trovare che fra le popolazioni primitive […] una strada di villaggio è più vicina alla caratteristica bellezza pura che non una strada di città”.

Cambellotti ha sempre affermato di avere scelto e preferito generi moderni, il cartellone pubblicitario

e la xilografia, perché li considerava più adatti a una larga divulgazione dell’immagine e perché concedevano maggiore “libertà di espressione”.

Cambellotti, dunque, rovescia la gerarchia delle arti, attribuendo pregi maggiori a manifestazioni tradizionalmente considerare minori, e in questo privilegiava il fattore sociale e individuale. In tal senso, egli si avvicina alle opinioni  dagli artisti delle Secessione di Vienna: innalzare ogni piccolo manufatto ad opera d’arte. Cambellotti, consapevole che l’arte può esprimersi in qualsiasi materia e/o manufatto, si applica nelle “diverse varietà di applicazioni e di materie” e questo, di conseguenza lo conduce alla padronanza di tecniche e manualità diverse delle quali è il massimo maestro. Inizia, così, la sua intensa attività di primo designer italiano (cofanetti, cornici, pubblicità, specchi, spille, medaglie, tessuti, mobili, vasi, mattonelle, vetrate etc.).

Tessili, Anni Dieci

Sul frammento sono enucleate all’interno di due medaglioni circolari le sagome stilizzate di un leone e di un cavallo; la figura di quest’ultimo è affine a quella dipinta nella Ciotola con cavallo del 1909. La sinuosità dei motivi a spirale conferma l’adesione di Cambellotti ad alcuni preziosi stilemi adottati contemporaneamente da Galileo Chini.

Ricamo cordonetto su feltro rosso, mm. 220×515

La superficie è ornata con cinque spighe di grano, motivo caro all’artista, utilizzato anche per le stoffe della sua casa in via Garibaldi e di quella, a partire dal 1927, in piazza Perin del Vaga

Ricamo cordonetto su canapa grezza, mm. 240×220

Xilografie

Ettore Cozzani nella rivista “L’Eroica“, (n. 231 – 232, dicembre 1937, conservata nel nostro Museo) definisce Cambellotti “ è uno xilografo nato” [….] e fa xilografia quando prende i bulini e scava la tavola di legno duro, come quando prende il pennello imbevuto di biacca e segna gli scavi bianchi sopra un cartone tinto del colore caldo del legno: naturalmente quando la xilografia è vera, tutta la composizione gli riesce più vibrante e più accesa; quando egli gioca col pennello a ritrovare più morbidamente i contorni del segno contro la macchia bianca, è portato a una maggiore pastosità e morbidezza; ma in tutte queste sue manifestazioni grafiche egli è stato l’artista italiano che meglio di ogni” altro abbia sentito e dimostrato quale influenza la xilografia fosse chiamata ad esercitare su tutta l’arte del bianco e nero” .

Cambellotti ha restituito alla tecnica xilografica un ruolo decisivo nella sua attività di illustratore e, certamente, tra le tecniche da lui sperimentate, la incisione su legno è la più frequentata e amata. Basti ricordare il suo impegno “privato e appassionato” per il ciclo di 35 tavole più due varianti delle “Leggende romane”. La civiltà romana, i suoi miti, la sua campagna sono sempre stati fonte d’ispirazione per . L’epopea delle Origini e della Fondazione, con lo sbarco del pio Enea a Lavinio, affascinano Duilio sin da bambino. Nella loro forma preparatoria come bozzetto a grafite e/o tempera o nella veste finale di opera xilografica, vuol dire lasciarsi prendere dalla sua poetica, entrare in quella speciale macchina del tempo che ci riconduce al panteon romano, ai miti pagani delle origini della civiltà di Roma. Molte sono le xilografie presenti nel nostro museo. In questa stanza vi proponiamo alcune delle più significative:

Lo Scheletro della Capanna, 1911

Il tema della capanna si lega al periodo di valorizzazione delle scuole nella campagna romana. Lo scheletro della capanna simboleggia il primo nucleo della civiltà laziale.  Sullo sfondo in alto della struttura nuvole antropomorfe evocano la presenza di augusti antenati.

xilografia su carta giappone, mm. 128×576

Il Fuoco Sacro, 1911

Le contadine dell’Agro stanno immobili come antiche vestali intorno alla fiamma per assicurarne la perpetuità. La xilografia avrebbe dovuto far parte della serie Leggende Romane.

xilografia su carta giappone, mm. 122×552

Cavalli e Corvi, 1918

Motivo derivato dalla frequentazione della Campagna romana che suggerisce anche tragiche visioni di morte. Compare la rappresentazione iterata del movimento delle teste e delle code; l’artista così annulla ogni idea contemplativa dell’immagine bucolica, sottolineando l’inquietudine provocata dalla presenza dei corvi in agguato.

Linoleum su carta, mm. 160×440

La siepe o La siepe macabra, 1914

Il motivo dei teschi stratificati, che anticipa la tragedia della Guerra Mondiale, è presente anche nella base della scultura “La Pace” (Donna che porta l’aratro). Xilografia pubblicata in tiratura di 150 esemplari, probabilmente nel 1926.

Xilografia su carta, mm. 242×573